Dr.ssa Sota, ci racconti del suo percorso professionale: Come mai si è specializzata in cure palliative?
Mi sono avvicinata alle cure palliative dopo aver lavorato all’ospedale di Locarno durante l’emergenza CoVid. Quei mesi mi hanno portato ad una riflessione nel mio ruolo di internista, costretta dalla dura realtà che aveva investito tutti. Prendendomi cura delle persone morenti, mi sono resa conto che la medicina senza le cure palliative, sarebbe come vedere la bambina sofferente e morente, raffigurata nel dipinto di S. Luke Fildes “The Doctor”, ma con accanto una sedia vuota. Perché quel medico è lì se non può salvare la bambina?
Così, da due anni e mezzo ho intrapreso il percorso nelle cure palliative specialistiche. Attualmente lavoro come Capoclinica per la Fondazione Hospice Ticino, che si occupa di cure palliative sul territorio.
Come si è sviluppato ad oggi questo ramo della medicina?
Il termine «palliativo» proviene rispettivamente dal verbo latino «palliare» (coprire) e dal sostantivo «pallium» (il mantello). Più comunemente conosciamo la parola inglese «care» che significa preoccuparsi, avere attenzione, prendersi cura. Mi piace pensare alle cure palliative come il velo che protegge il paziente in questo so-stare con lui.
Spesso ci capita di parlare con persone che si “spaventano” nel nominare le cure palliative, avendo la convinzione che sia un servizio esclusivo per il fine vita.
Qual è invece il vasto campo di azione in cui le cure palliative possono intervenire?
Le cure palliative si prefiggono lo scopo di migliorare la qualità di vita in senso globale, stando attenti al confort fisico, psicologico, sociale ed esistenziale della persona malata e dei suoi cari. Queste cure tengono conto delle peculiarità di ciascun paziente, offrendo cure basate sul rispetto delle proprie scelte.
Si integrano precocemente alle cure mirate al controllo della malattia di base, qualunque essa sia, permettendo alla persona malata di partecipare attivamente alle scelte terapeutiche e di conoscere ed esercitare i propri diritti di paziente, ad esempio tramite la stesura di un progetto di cura anticipato.
Sono di pertinenza le malattie croniche evolutive, quindi patologie degenerative per le quali non ci sono terapie che possano portare alla guarigione.
Alcuni esempi di tali patologie sono: la malattia oncologica avanzata, alcune malattie neurologiche, la cardiopatia terminale, la dialisi, la BPCO avanzata, etc.
Come si può accompagnare e istruire la famiglia del paziente, nel momento in cui subentrano tali cure?
Il termine “cure palliative” può evocare emozioni forti, legate al concetto di morte, sofferenza e perdita. È quindi importante che le persone abbiano una visione obiettiva di ciò che le cure palliative sono e cosa possono offrire a chi ne ha bisogno.
Le cure palliative prendono in carico e lavorano per la vita del paziente, migliorando la qualità della stessa, alleviando vari sintomi sia fisici che psichici. Lo vediamo bene in determinate malattie neurologiche, come la SLA, che durano per molti anni. Nonostante la fase del fine vita in questi casi duri solo pochi giorni o poche ore, le cure palliative vengono introdotte già alla diagnosi.
In ogni modo, il fine vita nei pazienti affetti da una malattia cronica subentra come un percorso naturale, con o senza le cure palliative. Non sottrarsi nell’affrontare questa realtà, cercando di accompagnare chi soffre in questa fase tanto delicata quanto inevitabile nel massimo confort, è un valore aggiunto non solo per il paziente, ma anche per tutte le persone che lo circondano e che rimarranno con il suo ricordo.
Quali servizi offre la Fondazione Hospice Ticino?
I servizi offerti dalla nostra fondazione sono:
Ci tengo a sottolineare che la presa in carico come seconda linea di consulenza specialistica da parte dell’Hospice, non va a sostituire la rete sanitaria del paziente (medico di famiglia, Spitex, fisioterapisti, ergoterapisti, etc.) ma entra a far parte del team di supporto all’unità di cura assieme agli altri specialisti.
Come può un servizio di prima linea, come uno Spitex, collaborare in modo pratico ed efficace con un servizio di seconda linea come un Hospice?
Un servizio di prima linea come uno Spitex o gli stessi familiari, assieme al medico curante, possono in modo semplice annunciare, tramite un formulario, il paziente per la presa a carico di un Hospice. Hospice Ticino collabora con tutte le prime linee sul territorio Ticinese. Di fatti, abbiamo già preso a carico diversi casi complessi insieme a BeeCare ed è interessante quello che abbiamo scoperto come esperienza comune.
Penso che la sofferenza sia una condizione necessaria alla via della conoscenza dell’altro e di noi stessi. A volte nei pazienti che soffrono subentra la depressione; si sprofonda nel passato, non vedendo più un futuro né una speranza.
Se ci pensiamo bene, senza la speranza non si può vivere, perché non si ha più nulla da chiedere all’istante che ci si trova davanti. Non avere nulla da chiedere è un’esperienza di morte, molto più della morte fisica.
In queste situazioni difficili di sofferenza è facile perdersi d’animo. Perché continuare a sperare?
La speranza è intesa dalle neuroscienze come una medicina: agisce su di noi così come fanno gli psicofarmaci. Non dovremo mai rifiutare la speranza, ma abbracciarla e lasciarla vivere dentro di noi, sperimentando cosi la sua capacità di salvarci dall’angoscia e dalla disperazione, mantenendo viva una strada da percorrere. C’è sempre la possibilità di realizzare qualcosa nella nostra vita, fino all’ultimo istante.
Come possiamo aiutare le persone a sperare?
Søren Kierkegaard, il grande filosofo danese, scrive che la speranza è la “passione del possibile”. Non è ottimismo, né desiderio, ma una certezza. Anche quando le ombre della vita ci sommergono nell’oscurità, la speranza continua ad essere un faro di luce che illumina il nostro presente e il nostro futuro.
La pratica delle cure palliative invita soprattutto ad ascoltare, ad accogliere le sofferenze e le paure dell’altro. Ci capita a volte di prenderci cura di persone che vivono da sole e vogliono stare a casa loro fino alla fine; questa solitudine per noi prende la forma di una compagna di strada che ci fa riflettere e ci porta a considerare il significato della vita, della preghiera per i fedeli, della speranza, della comunità e della comunione con gli altri.
Personalmente, quando accresce il pericolo di perdere la speranza umana, attingo alla speranza di San Paolo: “la speranza contro ogni speranza”, quella che nasce da una fede che dà un senso alla sofferenza. Con la fede si può essere portatori di una speranza che non muore.
Cosa direbbe a chi soffre in questo momento?
Vorrei fare un augurio, che ha bisogno dell’aiuto di tutti noi per essere realizzato:
Per chi soffre vorrei non ci siano più giorni muti e senza parole. Vorrei che anche quando il silenzio avvolgesse le nostre vite, esso avesse la forma della dignità e non dell’indifferenza.
Dr.ssa Majlinda Sota