Mettere la persona al centro e trattare il paziente innanzitutto come persona è alla base del metodo di lavoro di BeeCare.
In questa direzione va il ciclo di studi frequentato dalla nostra infermiera Grazia Buono, che si è formata come assistente spirituale. In particolare ha seguito due corsi presso l’Associazione “Tutto è vita” di Prato: accompagnamento spirituale nella malattia e nel morire e accompagnamento spirituale in cure palliative. A guidare la formazione padre Guidalberto Bormolini, religioso e antropologo. “Ho deciso di seguire questo percorso dopo aver lavorato per due anni e mezzo in ospedale nelle cure palliative, un universo complesso, nutriente dal punto di vista umano, ma in cui ho scoperto delle lacune relazionali. Il mio percorso di vita mi ha portato a cercare un modo per esplorare la mia spiritualità e trovare delle strade per avvicinarmi di più alla persona malata, soprattutto quando si trova in uno stadio terminale” racconta l’infermiera Grazia Buono.
Crescere in consapevolezza ed entrare in contatto con l’altro
Il percorso seguito da Grazia è ricco non solo di contenuti formativi, ma anche di esperienze personali. “Il corso è strutturato su due livelli. Il primo mira a crescere in consapevolezza rispetto alla propria morte e a quella dei propri cari, osservando i valori personali che ci orientano nella vita. Mentre il secondo livello è orientato a entrare in contatto con l’altro nel percorso di malattia, morte e lutto.
Mi sono resa conto che si può stare accanto all’altro sino a dove siamo arrivati noi nella nostra vita: più consapevolezza acquisisci più riesci ad avvicinarti all’altro”.
La formazione seguita da Grazia prevedeva un percorso di studi teorico e pratico. Al mattino si svolgevano le lezioni frontali, mentre il pomeriggio era dedicato a degli esercizi.
“Padre Bormolini ci ha proposto anche delle esperienze pratiche di esicasmo, una forma di meditazione antica che ha origine nella cultura orientale ortodossa cristiana, una preghiera contemplativa unita al respiro. Venivano proposte delle sessioni di meditazione per entrare in contatto col respiro, per imparare a stare accanto al malato anche con l’allineamento del respiro”.
Questo percorso (unito a quello della relazione), è utile per porsi al cospetto del malato quando ci apre le porte alla sua dimensione spirituale e ci permette di esplorare insieme il senso che egli dà alla propria vita, alla propria malattia, al suo sentire rispetto ai temi della speranza e del perdono. “Lo stare accanto presuppone approcciarsi all’altro senza pregiudizio, senza mettere davanti i propri valori, accettando l’altro per quello che è e per le scelte che fa. L’accompagnamento spirituale può essere svolto da tutti”.
Gioia nell’incontro con l’altro
“Questo corso mi ha portato più gioia nell’incontro con l’altro” spiega Grazia Buono, “mi ha fatto capire che il mio lavoro è un privilegio, scoprire la dimensione umana delle persone significa scoprire il loro lato più bello, quando un paziente ti dona la sua umanità e fragilità è un privilegio.
Con questo percorso la mia vista si è aperta ancora di più. Consiglio a tutti i colleghi e le colleghe questo percorso perché svolgiamo un lavoro difficile e spesso si fatica a dare un senso alla sofferenza dell’altro. La spiritualità può diventare un’altra strada percorribile insieme a tutto ciò che è cura nel percorso di malattia e nel fine vita.
Anche con BeeCare mi è capitato di assistere malati terminali, collaborando con le cure palliative, accompagnando queste persone nell’ultimo tratto della loro strada. La maggior parte dei nostri pazienti ha patologie croniche, riuscire a dare loro continuità e assistenza, ma non solo, far sentire la nostra presenza umana nell’ultimo tratto di vita e ricevere l’umanità di chi è andato via è stato prezioso”.
Infine Grazia ci tiene a fare una precisazione: “Si tende a confondere la spiritualità con la religione, ma in realtà il proprio sentire religioso è compreso nella propria dimensione spirituale. Spesso accade che gli operatori sanitari pensino che questa dimensione è ad esclusivo appannaggio dei ministri di culto, ma vorrei dire ai colleghi che questa dimensione in realtà appartiene a tutti, va solo riconosciuta, e quando ci si entra in dialogo può essere agita e diventare oggetto di confronto dell’intera equipe professionale e portata nella relazione col paziente come terreno di incontro”.