Giornata Internazionale dell’Infermiere, una professione da valorizzare

Giornata internazionale Infermerie

Il 12 maggio si festeggia la Giornata Internazionale dell’Infermiere, data scelta per omaggiare Florence Nightingale, la prima donna a strutturare il ruolo di infermiera, nel giorno della sua nascita.

Nata nel 1820, Nightningale viveva in una famiglia agiata eppure ha deciso di svolgere la professione di infermiera, che a quei tempi non era ben vista. La chiamavano anche signora della lampada, perché in tempo di guerra andava in giro di notte con una lampada per vedere come stavano i feriti. Florence Nightingale ha rinunciato a tante cose facendo l’infermiera per scelta e nello svolgere il lavoro si è accorta del bisogno di formazione che avevano gli infermieri” racconta Anna Moretto, infermiera e direttrice sanitaria di BeeCare. “Nel 1860 ha quindi scritto un libro pensato per la formazione alla professione di infermiere, contribuendo al riconoscimento del valore di questa professione”. Perché dobbiamo celebrare gli infermieri? “E’ una professione che ti dà tanto, ma ti sacrifica allo stesso modo. Noi infermieri non compiamo solo il gesto tecnico di cura, ma diamo tanto anche a livello umano, ricevendo anche tanto umanamente”.

Racconta Mario, infermiere BeeCare a Lugano: “Vado a casa contento dopo una giornata lavorativa, inizio col sorriso e finisco col sorriso perché il lavoro mi piace e mi trovo bene con i pazienti. Io vado a casa di chi ha bisogno a portare un aiuto e chi ha bisogno mi ricambia con un sorriso e un grazie”. “Per me fare l’infermiera è il lavoro più bello del mondo, non è facile, ma se lo fa con passione è bellissimo” racconta Alice, infermiera BeeCare a Lugano.

“E’ una professione da celebrare perché forniamo aiuto alle persone, con un’assistenza a 360°. Non è solo un gesto tecnico la cura, ma un ascolto. Per le persone è molto importante sentirsi ascoltate: saper ascoltare è la parte più difficile e bella del nostro lavoro”.

Un ponte tra la paura e la malattia

La figura dell’infermiere è il ponte tra la paura della malattia e l’accettazione di questa. I pazienti si affidano a te, diventi un punto di riferimento, sei proprio un ponte che li aiuta ad accogliere la vecchiaia e la malattia” spiega Maddalena, infermiera BeeCare a Lugano. “Mi sento utile quando vado dai pazienti: è questo che mi spinge a fare l’infermiera. Penso che ci siano difficoltà non riconosciute nel nostro lavoro, sempre un po’ dipendente dalla scelta del medico, ma siamo di più, siamo l’occhio che riporta al medico. Noi ci occupiamo del paziente, con cui è importante avere molta delicatezza. A domicilio i pazienti sono diffidenti, ti devi conquistare la loro fiducia. Conoscere i pazienti comunque è una ricchezza grande”.

Antonia, infermiera BeeCare e capo equipe a Lugano, non ha dubbi sull’importanza del ruolo dell’infermiere: “è una professione importante, noi infermieri siamo nati come aiuto del medico, ma ci siamo sviluppati, siamo un vero e proprio prolungamento del medico, i suoi occhi, le sue mani, le sue orecchie. Il lavoro dell’infermiere è fondamentale per la diagnosi e la prevenzione. L’infermiere spesso si fa carico di problemi emotivi, socio-culturali ed economici del paziente. Capita che il paziente racconti all’infermiere cose che non ha raccontato a nessuno. Spesso più le diagnosi sono infauste, più ci raccontano volentieri la loro vita, permettendoci di aiutarli. Come aiutiamo? Ascoltandoli e segnalando i problemi a chi di competenza, come ad esempio l’assistente sociale. Quest’aspetto a domicilio è molto importante”.

Come intendiamo la professione di infermiere da BeeCare

Da BeeCare cerchiamo infermieri con preparazione tecnica già acquisita, è fondamentale aver già fatto esperienza in ospedale oppure in casa anziani” spiega la direttrice sanitaria Anna Moretto. “E’ poi indispensabile la volontà di lavorare in team, infatti anche se dal paziente a domicilio siamo da soli, il momento di confronto e passaggio di informazioni è fondamentale. Infine, ma importantissimo, è necessaria una visione globale dell’utente, che va guardato non solo come un malato da curare, ma come una persona nella sua interezza, anche negli aspetti psicologici e sociali. Per questo la qualità del rapporto umano determina la qualità dell’assistenza. Il modo in cui ti poni con paziente è tutto, il rapporto di fiducia va oltre l’atto tecnico della prestazione sanitaria” conclude Anna Moretto.

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